giovedì 8 dicembre 2011

COME SISIFO...

Una piccola riflessione serale in questo giorno di festa. Sono stanca. Stanca di leggere di gente che rimpiange Berlusconi, gridando a gran voce l'iniquità del governo Monti.
Stanca di quest'aria proba e virginea di leghisti e pidiellini che dalle pagine di Facebook alle trasmissioni televisive, si dicono indignati di quanto accade. E giudicano e si scandalizzano. Come se il Paese a questo punto ci fosse arrivato da solo. Come se tutto fosse accaduto negli ultimi 19 giorni e non nel quindicennio precedente.
Sono stanca di tutta questa gente che vuole solo sentirsi dire che non ci sarà più questa o l'altra tassa.
Il prezzo di quelle false promesse lo stiamo pagando, adesso, TUTTI.
Ma lo pagano specialmente quelli che Berlusconi non l'hanno mai votato. Quelli che sono sempre andati al di là del cerone e dei capelli leccati con sapienza e che hanno visto cosa c'era dietro. E peggio ancora cosa non c'era.
Ma possibile che dopo tutto questo, ancora non si sia capito? Ancora non si sia imparato?
Ancora non si sia fatto un esame di coscienza e compreso che ciascuno di noi è responsabile di quello che è accaduto, per il voto che ha espresso, o non espresso.
Anche noi che abbiamo votato questa opposizione zoppa e pavida, che adesso, come per magia, viene identificata come forza di governo, pur essendo estranea a questo governo.
Quest'opposizione prona che si nasconde dietro il dito della "responsabilità" per non affrontare il peso di rappresentare veramente il paese. Sono stanca di tutto questo, ma questo resterà, per almeno 2 anni ancora, fino a quando la legislatura non andrà a morire e i parlamentari potranno andare via con il loro "sudato" vitalizio. Questo Paese è una delusione. Continua e inarrestabile, perchè non ha ancora capito cosa significhi imparare dai propri errori. Una sterile Sisifo destinata a cadere sempre e a risalire col suo masso senza mai raggiungere l'agognata meta.

mercoledì 7 dicembre 2011

ALLA FINESTRA

Sono stata alla finestra in questi giorni. Sono stata alla finestra a guardare, ad ascoltare, a vigilare quello che accadeva tutt'intorno. Nel Paese, nel Web, nelle Famiglie.
Ho letto decine di post, decine di articoli, visto e ascoltato il nostro Presidente Del Consiglio e i suoi ministri esporre al popolo la manovra ...
Le lacrime del ministro Fornero, la reazione delle donne commosse (forse troppo) da questo gesto, degli uomini indignati, della gente incredula.
Ma soprattutto ho visto, come sempre, la Dignità delle persone che più di tutti hanno subito quest'ascia che si abbattuta senza nessuna pietà su di loro: i pensionati.
In questi giorni ripenso spesso a mia nonna, morta molti anni fa. Prendeva la pensione minima e nonostante questo, non solo riusciva a tirare avanti ma trovava il modo, magari mangiando pane e olio e privandosi di qualsiasi piacere, di non farci mai mancare una mancia, un regalino, un dolcetto.
Cose da poco certo, ma che la rendevano felice: un nostro sorriso la ripagava dei mille sacrifici che ogni giorno faceva per tirare dignitosamente avanti. 
Penso a mia nonna, una siciliana emigrata in Toscana, a mio nonno che faceva il muratore e che con i suoi sacrifici riusciva a far studiare le figlie.
E penso alle persone anziane che come loro, tutta la vita, hanno conosciuto solo il Sacrificio. Prima la guerra, poi il risollevarsi, lavorare, combattere per ottenere quei diritti che oggi sembrano anacronistici a politici e "tecnici" ma che sono stati la conquista di una generazione che ha portato avanti questo Paese e che ancora lo fa.
Una generazione che non ha ricevuto niente dai propri genitori, se non l'Amore, l'Onore e la Dignità. Che non ha avuto altro bene che la propria fantasia, la propria gioventù, la propria speranza.
E che con questo prezioso bagaglio di nessun valore economico ha conquistato il mondo. Ha risollevato un paese che era fatto di macerie e l'ha reso forte e ricco. Questa generazione, partendo dal niente, con le sue sole forze ha costruito l'Italia, risparmiato, mandato a scuola i propri figli, consentendo loro di costruire un futuro migliore per le generazioni a venire.
Questa generazione, che ha ereditato solo debiti dai propri genitori, ha consegnato ai propri figli un grande Paese e oggi si trova ancora una volta, a dover sobbarcarsi il peso della crisi.
I pensionati, quei vecchierelli canuti e stanchi che spesso ci fanno sorridere di tenerezza quando li vediamo in giro, vestiti a festa la domenica, quando entriamo nelle loro case piene di foto e di ninnoli (le buone cose di pessimo gusto per dirla con Gozzano), non sono il peso del Paese, la causa della crisi.
Sono quelli che hanno risparmiato una vita per lasciare una casa ai propri figli, che hanno permesso a questi figli (i nostri padri, le nostre madri) di darne una ai loro figli.
Sono quelli che hanno sostituito e ancora sostituiscono, quelle istituzioni di welfare mancanti (asili, sostegno alle famiglie) dedicandosi, dopo una vita di lavoro, anima e corpo alla cura dei nipoti.
Sono quelli che non hanno mai fatto mancare un piatto in tavola ai loro cari, anche in tempi di crisi, di disoccupazione, di cassa integrazione.
Questi pensionati, che adesso vengono trattati freddamente come numeri,  e additati come la causa della disoccupazione dei loro nipoti, sono la risorsa più grande che il nostro Paese fino ad oggi ha avuto.
Sono la nostra memoria, la nostra storia e il nostro esempio.
La manovra iniqua che li vede vittime sole di decenni di malapolitica e mal costume, ancora una volta li troverà preparati, come sempre, al sacrificio. Senza pianti, senza stridori.
Ma si sappia che chi volta le spalle al proprio passato, ha ben poche speranze di costruire un futuro.

mercoledì 30 novembre 2011

LAVORARE TUTTI, LAVORARE DI PIU', LAVORARE PIU' ORE

Parrebbe questa la ricetta del nuovo governo per risollevare l'economia e far crescere il Paese. Se ne parlava ieri sera a Ballarò. Senza crescita non si cammina e per crescere occorre lavorare. Già, ineccepibile, tutti d'accordo.
Poi oggi passo in macchina davanti alla scuola, alle 16, di ritorno dalla spesa settimanale. Figlio piccolo e madre invalida al seguito, fortunatamente con il mio (benché precario) part-time.
E vedo decine di bambini e madri invadere gioiosi la strada e mi chiedo se forse il giusto non sarebbe lavorare tutti e non lavorare di più.
In un paese dove donne con laurea ed esperienza sono spesso costrette a barattare le loro legittime aspirazioni professionali con l'altrettanto legittimo desiderio di accompagnare i loro figli nella loro crescita, le statistiche lamentano che le donne abbandonano il mercato del lavoro.
Solo il 46% di occupazione femminile. 
Ma nessuno si chiede chi si occupa di quei bambini alle 16 quando la scuola li congeda? Nessuno si chiede se sia giusto che una madre debba o rinunciare al lavoro o rinunciare a veder crescere il proprio figlio, perchè le due cose sono inconciliabili?
Nessuno si domanda dove sono le strutture, le agevolazioni fiscali, i benefit volti a sostenere l'occupazione femminile?
Tutti però si chiedono come mai facciamo un figlio solo. Tutti però si arrogano il diritto di criticarci per questa scelta già...
Nessuno si indigna che i genitori mandino all'asilo nido bambini ammalati perchè l'alternativa, stando a casa a curarli, nella più rosea delle ipotesi è il mobbing.
Siamo solo capaci di ragionare per numeri, per percentuali, ma di quello che sta dietro a questi numeri nessuno si preoccupa, nessuno.
Vorrei che si parlasse anche questo il 17 Dicembre ... e molto.
Vorrei che fosse l'occasione per gridare a muso duro in faccia a chi non vuol vedere né sentire, quella che è la realtà in un paese dove l'unico vero ammortizzatore sociale resta la famiglia e laddove manchi, allora, son dolori. 
Ma il problema per cui le donne italiane fanno pochi figli, secondo Libero, sarebbe che leggono troppi libri.
Bello vedere come evolve il mondo, come sia illuminata la stampa alle soglie del 2012.
Scusate la pessima scrittura, ma è uno sfogo di pancia e di cuore, il mio.

venerdì 25 novembre 2011

Ribellarsi alle violenze

Oggi è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. I numeri che ci vengono proposti riguardo a questo fenomeno sono semplicemente spaventosi. Si legga il bellissimo post della 27esima ora del Corriere della Sera (http://27esimaora.corriere.it/articolo/quei-numeri-che-non-vogliamo-credere-e-la-violenza-che-piu-uccide-le-donne/#more-2848)
Quello che però mi piacerebbe ricordare in questo giorno, è che oltre alla violenza fisica e degli abusi terribili che ogni giorno vengono perpetrati ai danni delle donne, esiste tutta una serie di atteggiamenti, di noncuranze, di dati di fatto, di mancata considerazione, di imposizioni che generano piccole e continue violenze che le donne subiscono senza a volte nemmeno rendersene conto, diventandone loro malgrado complici.
I diritti negati, le discriminazioni, l’essere considerate come una “specie” fragile e protetta e per questo meno capace di affrontare la vita, la passività dei ruoli che il “senso comune” affibbia alle donne, senza possibilità di replica: ciascuno di questi atteggiamenti è una piccola scheggia che colpisce il genere al quale apparteniamo.
Spero che questo giorno sia un momento di riflessione e non di commemorazione, per lo meno, non solo.
Perché se è vero che ancor oggi le disparità fra generi sono molte, se è vero che in molte, troppe famiglie, si nascondono abusi inenarrabili, o intollerabili discriminazioni, è  vero anche che noi donne non abbiamo forse fatto abbastanza perché questo non succedesse.
Sarebbe rivoluzionario, se all’alba del 2012, riuscissimo tutte  a liberarci dagli stereotipi che ci siamo cucite addosso come abiti di sartoria e dietro ai quali spesso, confessiamolo, ci nascondiamo, per timore, consuetudine o comodità.
La più grande forma di opposizione alla violenza di genere è la ribellione.
Ci vuole molto coraggio, ma DOBBIAMO fare valere i nostri diritti, le nostre opposizioni. Rivendicare ciò che ci spetta, difenderci attivamente dagli abusi subiti, dalle porte sbattute in faccia.
Mi rivolgo anche e soprattutto, come fossero mie sorelle, alle figlie, madri e mogli che subiscono i soprusi di padri padroni che fuori dalle mura domestiche si trasformano in stimabili impiegati di banca: abbiate coraggio, per quanto sia difficile, di ritrovare la vostra libertà.
Credo che spesso alcune donne rimangano incastrate in trappole mortali, perché credono di non avere un’alternativa.
Perché il fatto di essere continuamente svilite, fa sì che arrivino a credere esse stesse di non valere nulla. Questo non dobbiamo e non possiamo accettarlo. Ogni donna è un mondo. Ogni donna è una risorsa. Ogni donna ha davanti a sé mille scelte possibili.
Ogni donna ha il diritto e il dovere di uscire dal proprio bozzolo di paura e di prendere il volo nel cielo limpido della libertà e dell’autodeterminazione.
Come fare? Chiedendo aiuto. In primis ad altre donne.
E urlare la verità a gran voce senza omertà e (finalmente) senza paura.

lunedì 21 novembre 2011

GIOCHI SOTTO L'ALBERO

Prendo spunto dal divertentissimo post http://networkedblogs.com/qkwkq di una compagna di #donnexdonne sui socialnetwork per condividere con voi un pensiero che mi assale da anni riguardo ai giochi "di genere".
Passi la Barbie, che sarà pure un'icona "politically uncorrect" con la sua coscia lunga, la chioma platino, le misure da top model, il suo guardaroba e i suoi accessori glamour, immagine di una bellezza algida e irraggiungibile che seduce le bambine di tutto il mondo da oltre 50 anni.
Ma non passano, almeno non per me, i giochi sessisti. Quelli che vedono le femminucce come piccoli futuri angeli del focolare senza altre aspirazioni al di fuori della cura della casa e della prole.
Tralasciando la cucina, classico sdoganato unisex (si sa che i migliori cuochi sono uomini) e quando vediamo giocare i nostri piccoli tra i fornelli, sogniamo un aitante Alessandro Borghese, che ci sorride dallo schermo, mentre noi, orgogliose, diciamo alla nostra vicina di casa "quello è mio figlio", in questi giorni è possibile trovare sugli scaffali dei centri commerciali ogni genere di gioco per aspiranti YESWOMEN: dai classici bambolotti che chiamano solo "mamma" (i papà già latitano), a elettrodomestici di ogni genere,  versione in miniatura con tanto di sponsor di quelli reali, fino ad arrivare al set della perfetta signora delle pulizie, un carrellino pieno di stracci, spazzolone e detersivi per tenere in perfetto splendore la casa. Semplicemente inquietante.
Che fare la collaboratrice domestica sia un lavoro onesto e onorevole,  siamo tutti d'accordo, ma vi sembra giusto inculcare in una bambina piccola l'insegnamento che il suo destino sarà quello di pulire case, cambiare pannolini e cucinare manicaretti?
So per esperienza quanto questi giochi possano essere graditi ai bambini, che per emulazione, sono affascinati dai "mestieri" dei grandi, ma perché i nostri figli maschi sono portati a pensarsi piloti o eroi della fantascienza mentre le nostre bimbe dovrebbero aspirare al semplice ruolo di moglie e madre e domestica? O al massimo, per tornare alla bionda evergreen della Mattel, alla "professione" di velina o soubrette o indossatrice?
C'è qualcosa che non torna. Ed è inutile cercare di essere green, amanti degli animali, contrari alla violenza (nessuno compra più armi giocattolo per il proprio bambino) se poi perpetuiamo questo stereotipo femminile fin dalla prima infanzia.
Inutile lamentarci del sessismo di certe pubblicità (penso al granellone di polvere che bussa alla porta di casa e il marito che chiama la moglie dicendole "è per te!") se poi consentiamo che anche nella pubblicità di un noto formaggio fuso a fette, la protagonista, una bionda bambina, sia intenta a lavare i piatti mentre il maschio gioca e sporca.
L'educazione di genere di cui molto stiamo parlando, passa anche da questo. Che i nostri figli ambiscano ad occupazioni e giochi universali e intelligenti. Se vogliono aiutarci con le faccende domestiche, lasciamoglielo fare, spiegando loro che è un'attività che va suddivisa fra tutti i membri della famiglia. Tutti appunto, maschi inclusi. Ed evitiamo di finanziare, con i nostri acquisti, questi giochi che ammiccano alla discriminazione di genere. Sarà un piccolo passo, ma da qualche parte bisogna pur iniziare...

venerdì 18 novembre 2011

OLTRE IL QUALUNQUISMO

Nei giorni che hanno preceduto lo scioglimento della riserva del professor Monti e l'ufficializzazione della lista dei ministri, si sono espressi in molti sull'opportunità di questo governo tecnico.
E sia a destra che a sinistra, nell'ambito delle mie conoscenze, sono stati manifestati dubbi, ora sul personaggio scelto, ora sulla democraticità di questo incarico conferito senza elezioni.
Confesso che la prima volta in cui ho visto il professor Monti, nonostante il curriculum, qualche dubbio l'ho avuto anche io. Ma nei giorni scorsi, prima con la presentazione della squadra di governo, che ha visto salire alla ribalta 3 donne  (e che donne!) in posizione chiave, poi con le dichiarazioni programmatiche e i discorsi fatti alle camere il mio giudizio sul Senatore a vita è cambiato.
Vedere sul tavolo tanta competenza (e poco importa che siano professori e banchieri, in questo momento, perché sono comunque personaggi di grande e provata capacità), tanta pacatezza.
Sentire la sua voce decisa ma calma, il suo italiano perfetto, la perfetta pronuncia delle parole straniere. Il tatto nell'esprimere i concetti, la risolutezza autorevole delle sue parole, il suo modo da insegnante di spiegare il suo programma e il suo punto di vista, mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Siamo finalmente in buone mani, finalmente c'è qualcuno che sa cosa deve fare.  E il fatto che nel suo "To do" ci sia l'incentivazione dell'occupazione femminile come risorsa imprescindibile è qualcosa che va ben oltre ogni più lieta aspettativa. Dunque vorrei che tutti, come me, cercassero di andare oltre il qualunquismo che fa della sfiducia nella cosa pubblica la sua facile bandiera. Rincresce dirlo ma Berlusconi non si è autoproclamato Presidente del Consiglio. Sono stati i nostri concittadini a votarlo. E siamo stati noi a votare quelle opposizioni deboli e litigiose che forse non hanno ben servito il loro compito istituzionale. Dunque adesso lasciamo che questi personaggi depongano per un momento le armi della loro chiassosa e inconcludente dialettica, per lasciarsi guidare da qualcuno che, al contrario, appare assai risoluto e pragmatico. Sarà una buona occasione per riflettere. Per chi la politica l'ha fatta attivamente con i risultati che sono tristemente sotto i nostri occhi e per chi a questa classe politica così poco onorevole ha dato, tramite il suo voto, mandato di decidere per lei.

venerdì 11 novembre 2011

2 Euro per 10 leggi

Donne che si muovono per cambiare lo status quo. Donne che si muovono per dar voce al loro pensiero. Donne pensanti che si incontrano e confrontano e scontrano sul web e nella vita, che si mobilitano per comprare uno spazio per lanciare un messaggio. Un importante messaggio. "Noi ci siamo".
Siamo le ragazze che studiano sognando un futuro da manager, le anziane signore che si dedicano anima e corpo ai nipoti per aiutare i loro figli in un Paese che questi bambini si tappa gli occhi per non vederli, siamo le pendolari che ogni giorno affrontano 2 ore di viaggio in treni stipati, ritardatari e maleodoranti per portare a casa 1000 euro al mese, siamo le casalinghe per scelta o per forza, che mandano avanti l'economia sommersa delle cure parentali alle quali lo Stato si sottrae, siamo le impiegate delle piccole e medie imprese, quelle che non possono ammalarsi se no cade il mondo, ma delle quali si può far presto a meno quando arriva un bambino nella loro vita.
Siamo le laureate che hanno appeso titolo e sogni ad un gancio al muro e che adesso quei sogni li vogliono indietro con gli interessi. Siamo il 50% e più della popolazione di un Paese che ha troppo spesso taciuto. Quel 50% che ha troppo spesso sacrificato o meglio sarebbe dire donato le proprie forze per assicurare un presente ed un futuro migliori alle loro famiglie. Siamo quelle che adesso basta, vogliono e devono prendere la parola, per dire che un paese senza donne non è possibile, per dichiarare con orgoglio la loro diversità e la loro complementarietà rispetto agli uomini, per chiedere a gran voce allo Stato di usare questa "diversità" come ricchezza, di sfruttare le loro potenzialità per un Paese migliore, per famiglie migliori, perché i loro - i nostri - figli, siano domani uomini e donne migliori.
Uomini e donne con un futuro.
Siamo quelle che hanno smesso di farsi un'assurda guerra fatta di invidia e di competizione. Siamo quelle che oggi, compatte, camminano assieme per affermare la loro coscienza sociale. Siamo le donne vere e non le patinate escort delle cronache di questo piccolo, rumoroso e spesso imbarazzante Paese.
Siamo quelle che hanno deciso di crederci, di credere che se una cosa la si vuole davvero, allora bisogna combattere per averla. Siamo il genere femminile, al quale, orgogliosamente, appartengo.


domenica 2 ottobre 2011

LASCIA TUTTO E SEGUITI …

I ricordi sono sbiaditi, confusi. Un filmino in bianco e nero in superotto, i colori aranciati di una vecchia fotografia, visi imbronciati di te bambina con un cappottino da zingarella seduta su un monumento, allegra con un foulard da contadina e un gelato gocciolante in mano. Passano davanti agli occhi, ora velocissimi ora lenti, impalpabili come sogni dopo un risveglio frettoloso, al ritmo di quel tran tran che è diventato talmente organizzato, talmente normale che non ti dà tempo per pensare a chi sei.
 Stai dimenticando chi sei.
Ti giri e ti rigiri nel letto, poi ti alzi, apri un file, lo richiudi. Voglia di scrivere, paura. Ancora desiderio.
La pagina bianca ti guarda e ti sfida: “coraggio, fallo, inizia”. Richiudi. Troppo difficile. E poi cosa? Cos’hai da dire veramente, che possa interessare a qualcuno? E ammesso che ci sia, come dirlo? E perché, poi?
Ed eccoti di nuovo qua, la sfida sempre aperta. Attorno a te il buio, tutto tace, si sentono solo il rumore familiare del frigorifero e il respiro leggero di tuo figlio, in lontananza, che si gira nel letto e riprende a ciucciare il suo ditino. La luce di sicurezza. L’ora su un vecchio videoregistratore. 00.07 … domani lavori.
Ma hai una frase che ti gira nella testa, la frase di una canzone di Battiato che non hai mai nemmeno ascoltato, l’hai letta su un social network, come citazione e non t’abbandona. Dice “Lascia tutto e seguiti”… come un mantra. Lascia tutto e seguiti.
C’è il sogno di quand’eri bambina e c’è quello che sei diventata, in mezzo e oltre c’è la vita. La tua. Lascia tutto e seguiti.
Lascia le paure e scrivi. Non importa cosa, non importa come, ma inizia.
E’ ora d’iniziare …
Lascia i dubbi, lascia l’ansia, dimentica chi ti legge, dimentica i giudizi, dimentica tutto …
Posta adesso che è mezzanotte e nessuno ti leggerà. Domani sarà tardi. Il treno sarà passato. Non avrai il tempo, non ne avrai il coraggio, batti te stessa per una volta, quella voce che ti dice “lascia stare”, non ascoltarla.
Ricorda tuo figlio quando iniziò a camminare, a passi incerti, sperduto e impacciato, voleva soltanto raggiungere  te. Raggiungi te stessa. Fallo anche tu. Vai, lascia la maniglia di scuse alla quale ti attacchi, lascia i se e i ma, lascia tutto e cammina verso te stessa, con la stessa fiducia con cui l’ha fatto quel bambino che oggi corre senza paura e cade e si rialza. Piange e ride e dà un senso a tutto ciò che ti sta intorno.
Provaci. Se non altro avrai fatto un primo passo … 00.42 ctrl c+ctrlv.