mercoledì 30 novembre 2011

LAVORARE TUTTI, LAVORARE DI PIU', LAVORARE PIU' ORE

Parrebbe questa la ricetta del nuovo governo per risollevare l'economia e far crescere il Paese. Se ne parlava ieri sera a Ballarò. Senza crescita non si cammina e per crescere occorre lavorare. Già, ineccepibile, tutti d'accordo.
Poi oggi passo in macchina davanti alla scuola, alle 16, di ritorno dalla spesa settimanale. Figlio piccolo e madre invalida al seguito, fortunatamente con il mio (benché precario) part-time.
E vedo decine di bambini e madri invadere gioiosi la strada e mi chiedo se forse il giusto non sarebbe lavorare tutti e non lavorare di più.
In un paese dove donne con laurea ed esperienza sono spesso costrette a barattare le loro legittime aspirazioni professionali con l'altrettanto legittimo desiderio di accompagnare i loro figli nella loro crescita, le statistiche lamentano che le donne abbandonano il mercato del lavoro.
Solo il 46% di occupazione femminile. 
Ma nessuno si chiede chi si occupa di quei bambini alle 16 quando la scuola li congeda? Nessuno si chiede se sia giusto che una madre debba o rinunciare al lavoro o rinunciare a veder crescere il proprio figlio, perchè le due cose sono inconciliabili?
Nessuno si domanda dove sono le strutture, le agevolazioni fiscali, i benefit volti a sostenere l'occupazione femminile?
Tutti però si chiedono come mai facciamo un figlio solo. Tutti però si arrogano il diritto di criticarci per questa scelta già...
Nessuno si indigna che i genitori mandino all'asilo nido bambini ammalati perchè l'alternativa, stando a casa a curarli, nella più rosea delle ipotesi è il mobbing.
Siamo solo capaci di ragionare per numeri, per percentuali, ma di quello che sta dietro a questi numeri nessuno si preoccupa, nessuno.
Vorrei che si parlasse anche questo il 17 Dicembre ... e molto.
Vorrei che fosse l'occasione per gridare a muso duro in faccia a chi non vuol vedere né sentire, quella che è la realtà in un paese dove l'unico vero ammortizzatore sociale resta la famiglia e laddove manchi, allora, son dolori. 
Ma il problema per cui le donne italiane fanno pochi figli, secondo Libero, sarebbe che leggono troppi libri.
Bello vedere come evolve il mondo, come sia illuminata la stampa alle soglie del 2012.
Scusate la pessima scrittura, ma è uno sfogo di pancia e di cuore, il mio.

venerdì 25 novembre 2011

Ribellarsi alle violenze

Oggi è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. I numeri che ci vengono proposti riguardo a questo fenomeno sono semplicemente spaventosi. Si legga il bellissimo post della 27esima ora del Corriere della Sera (http://27esimaora.corriere.it/articolo/quei-numeri-che-non-vogliamo-credere-e-la-violenza-che-piu-uccide-le-donne/#more-2848)
Quello che però mi piacerebbe ricordare in questo giorno, è che oltre alla violenza fisica e degli abusi terribili che ogni giorno vengono perpetrati ai danni delle donne, esiste tutta una serie di atteggiamenti, di noncuranze, di dati di fatto, di mancata considerazione, di imposizioni che generano piccole e continue violenze che le donne subiscono senza a volte nemmeno rendersene conto, diventandone loro malgrado complici.
I diritti negati, le discriminazioni, l’essere considerate come una “specie” fragile e protetta e per questo meno capace di affrontare la vita, la passività dei ruoli che il “senso comune” affibbia alle donne, senza possibilità di replica: ciascuno di questi atteggiamenti è una piccola scheggia che colpisce il genere al quale apparteniamo.
Spero che questo giorno sia un momento di riflessione e non di commemorazione, per lo meno, non solo.
Perché se è vero che ancor oggi le disparità fra generi sono molte, se è vero che in molte, troppe famiglie, si nascondono abusi inenarrabili, o intollerabili discriminazioni, è  vero anche che noi donne non abbiamo forse fatto abbastanza perché questo non succedesse.
Sarebbe rivoluzionario, se all’alba del 2012, riuscissimo tutte  a liberarci dagli stereotipi che ci siamo cucite addosso come abiti di sartoria e dietro ai quali spesso, confessiamolo, ci nascondiamo, per timore, consuetudine o comodità.
La più grande forma di opposizione alla violenza di genere è la ribellione.
Ci vuole molto coraggio, ma DOBBIAMO fare valere i nostri diritti, le nostre opposizioni. Rivendicare ciò che ci spetta, difenderci attivamente dagli abusi subiti, dalle porte sbattute in faccia.
Mi rivolgo anche e soprattutto, come fossero mie sorelle, alle figlie, madri e mogli che subiscono i soprusi di padri padroni che fuori dalle mura domestiche si trasformano in stimabili impiegati di banca: abbiate coraggio, per quanto sia difficile, di ritrovare la vostra libertà.
Credo che spesso alcune donne rimangano incastrate in trappole mortali, perché credono di non avere un’alternativa.
Perché il fatto di essere continuamente svilite, fa sì che arrivino a credere esse stesse di non valere nulla. Questo non dobbiamo e non possiamo accettarlo. Ogni donna è un mondo. Ogni donna è una risorsa. Ogni donna ha davanti a sé mille scelte possibili.
Ogni donna ha il diritto e il dovere di uscire dal proprio bozzolo di paura e di prendere il volo nel cielo limpido della libertà e dell’autodeterminazione.
Come fare? Chiedendo aiuto. In primis ad altre donne.
E urlare la verità a gran voce senza omertà e (finalmente) senza paura.

lunedì 21 novembre 2011

GIOCHI SOTTO L'ALBERO

Prendo spunto dal divertentissimo post http://networkedblogs.com/qkwkq di una compagna di #donnexdonne sui socialnetwork per condividere con voi un pensiero che mi assale da anni riguardo ai giochi "di genere".
Passi la Barbie, che sarà pure un'icona "politically uncorrect" con la sua coscia lunga, la chioma platino, le misure da top model, il suo guardaroba e i suoi accessori glamour, immagine di una bellezza algida e irraggiungibile che seduce le bambine di tutto il mondo da oltre 50 anni.
Ma non passano, almeno non per me, i giochi sessisti. Quelli che vedono le femminucce come piccoli futuri angeli del focolare senza altre aspirazioni al di fuori della cura della casa e della prole.
Tralasciando la cucina, classico sdoganato unisex (si sa che i migliori cuochi sono uomini) e quando vediamo giocare i nostri piccoli tra i fornelli, sogniamo un aitante Alessandro Borghese, che ci sorride dallo schermo, mentre noi, orgogliose, diciamo alla nostra vicina di casa "quello è mio figlio", in questi giorni è possibile trovare sugli scaffali dei centri commerciali ogni genere di gioco per aspiranti YESWOMEN: dai classici bambolotti che chiamano solo "mamma" (i papà già latitano), a elettrodomestici di ogni genere,  versione in miniatura con tanto di sponsor di quelli reali, fino ad arrivare al set della perfetta signora delle pulizie, un carrellino pieno di stracci, spazzolone e detersivi per tenere in perfetto splendore la casa. Semplicemente inquietante.
Che fare la collaboratrice domestica sia un lavoro onesto e onorevole,  siamo tutti d'accordo, ma vi sembra giusto inculcare in una bambina piccola l'insegnamento che il suo destino sarà quello di pulire case, cambiare pannolini e cucinare manicaretti?
So per esperienza quanto questi giochi possano essere graditi ai bambini, che per emulazione, sono affascinati dai "mestieri" dei grandi, ma perché i nostri figli maschi sono portati a pensarsi piloti o eroi della fantascienza mentre le nostre bimbe dovrebbero aspirare al semplice ruolo di moglie e madre e domestica? O al massimo, per tornare alla bionda evergreen della Mattel, alla "professione" di velina o soubrette o indossatrice?
C'è qualcosa che non torna. Ed è inutile cercare di essere green, amanti degli animali, contrari alla violenza (nessuno compra più armi giocattolo per il proprio bambino) se poi perpetuiamo questo stereotipo femminile fin dalla prima infanzia.
Inutile lamentarci del sessismo di certe pubblicità (penso al granellone di polvere che bussa alla porta di casa e il marito che chiama la moglie dicendole "è per te!") se poi consentiamo che anche nella pubblicità di un noto formaggio fuso a fette, la protagonista, una bionda bambina, sia intenta a lavare i piatti mentre il maschio gioca e sporca.
L'educazione di genere di cui molto stiamo parlando, passa anche da questo. Che i nostri figli ambiscano ad occupazioni e giochi universali e intelligenti. Se vogliono aiutarci con le faccende domestiche, lasciamoglielo fare, spiegando loro che è un'attività che va suddivisa fra tutti i membri della famiglia. Tutti appunto, maschi inclusi. Ed evitiamo di finanziare, con i nostri acquisti, questi giochi che ammiccano alla discriminazione di genere. Sarà un piccolo passo, ma da qualche parte bisogna pur iniziare...

venerdì 18 novembre 2011

OLTRE IL QUALUNQUISMO

Nei giorni che hanno preceduto lo scioglimento della riserva del professor Monti e l'ufficializzazione della lista dei ministri, si sono espressi in molti sull'opportunità di questo governo tecnico.
E sia a destra che a sinistra, nell'ambito delle mie conoscenze, sono stati manifestati dubbi, ora sul personaggio scelto, ora sulla democraticità di questo incarico conferito senza elezioni.
Confesso che la prima volta in cui ho visto il professor Monti, nonostante il curriculum, qualche dubbio l'ho avuto anche io. Ma nei giorni scorsi, prima con la presentazione della squadra di governo, che ha visto salire alla ribalta 3 donne  (e che donne!) in posizione chiave, poi con le dichiarazioni programmatiche e i discorsi fatti alle camere il mio giudizio sul Senatore a vita è cambiato.
Vedere sul tavolo tanta competenza (e poco importa che siano professori e banchieri, in questo momento, perché sono comunque personaggi di grande e provata capacità), tanta pacatezza.
Sentire la sua voce decisa ma calma, il suo italiano perfetto, la perfetta pronuncia delle parole straniere. Il tatto nell'esprimere i concetti, la risolutezza autorevole delle sue parole, il suo modo da insegnante di spiegare il suo programma e il suo punto di vista, mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Siamo finalmente in buone mani, finalmente c'è qualcuno che sa cosa deve fare.  E il fatto che nel suo "To do" ci sia l'incentivazione dell'occupazione femminile come risorsa imprescindibile è qualcosa che va ben oltre ogni più lieta aspettativa. Dunque vorrei che tutti, come me, cercassero di andare oltre il qualunquismo che fa della sfiducia nella cosa pubblica la sua facile bandiera. Rincresce dirlo ma Berlusconi non si è autoproclamato Presidente del Consiglio. Sono stati i nostri concittadini a votarlo. E siamo stati noi a votare quelle opposizioni deboli e litigiose che forse non hanno ben servito il loro compito istituzionale. Dunque adesso lasciamo che questi personaggi depongano per un momento le armi della loro chiassosa e inconcludente dialettica, per lasciarsi guidare da qualcuno che, al contrario, appare assai risoluto e pragmatico. Sarà una buona occasione per riflettere. Per chi la politica l'ha fatta attivamente con i risultati che sono tristemente sotto i nostri occhi e per chi a questa classe politica così poco onorevole ha dato, tramite il suo voto, mandato di decidere per lei.

venerdì 11 novembre 2011

2 Euro per 10 leggi

Donne che si muovono per cambiare lo status quo. Donne che si muovono per dar voce al loro pensiero. Donne pensanti che si incontrano e confrontano e scontrano sul web e nella vita, che si mobilitano per comprare uno spazio per lanciare un messaggio. Un importante messaggio. "Noi ci siamo".
Siamo le ragazze che studiano sognando un futuro da manager, le anziane signore che si dedicano anima e corpo ai nipoti per aiutare i loro figli in un Paese che questi bambini si tappa gli occhi per non vederli, siamo le pendolari che ogni giorno affrontano 2 ore di viaggio in treni stipati, ritardatari e maleodoranti per portare a casa 1000 euro al mese, siamo le casalinghe per scelta o per forza, che mandano avanti l'economia sommersa delle cure parentali alle quali lo Stato si sottrae, siamo le impiegate delle piccole e medie imprese, quelle che non possono ammalarsi se no cade il mondo, ma delle quali si può far presto a meno quando arriva un bambino nella loro vita.
Siamo le laureate che hanno appeso titolo e sogni ad un gancio al muro e che adesso quei sogni li vogliono indietro con gli interessi. Siamo il 50% e più della popolazione di un Paese che ha troppo spesso taciuto. Quel 50% che ha troppo spesso sacrificato o meglio sarebbe dire donato le proprie forze per assicurare un presente ed un futuro migliori alle loro famiglie. Siamo quelle che adesso basta, vogliono e devono prendere la parola, per dire che un paese senza donne non è possibile, per dichiarare con orgoglio la loro diversità e la loro complementarietà rispetto agli uomini, per chiedere a gran voce allo Stato di usare questa "diversità" come ricchezza, di sfruttare le loro potenzialità per un Paese migliore, per famiglie migliori, perché i loro - i nostri - figli, siano domani uomini e donne migliori.
Uomini e donne con un futuro.
Siamo quelle che hanno smesso di farsi un'assurda guerra fatta di invidia e di competizione. Siamo quelle che oggi, compatte, camminano assieme per affermare la loro coscienza sociale. Siamo le donne vere e non le patinate escort delle cronache di questo piccolo, rumoroso e spesso imbarazzante Paese.
Siamo quelle che hanno deciso di crederci, di credere che se una cosa la si vuole davvero, allora bisogna combattere per averla. Siamo il genere femminile, al quale, orgogliosamente, appartengo.